Chi o cosa è esattamente Ares? Come l'ha definita meglio di me Walter Otto, la religione greca e con lei tutte le religioni cosiddette pagane sono 'religioni della realtà', in cui la presenza degli dei viene letta nel mondo circostante, in sé stessi, nelle proprie azioni e in quelle altrui e negli eventi del mondo. La religione intesa come insieme di divinità e di pratiche è quindi una conseguenza di una visione del mondo, perciò possiamo cercare di capire che cosa fosse Ares in quel mondo. Di Ares diciamo comunemente che era il dio della guerra; ma nelle guerre raccontate nei poemi epici, l'Iliade in testa, troviamo molte altre divinità legate alla guerra, Atena soprattutto. Quindi non può essere soltanto colui che presiede alle guerre, sarebbe una visione cristianizzata in cui il dio è esterno ad una cosa che crea o causa, mentre un dio pagano è un'essenza divina di una cosa.
Spesso attribuiamo all'intera religione greca caratteristiche che appartengono ad una sola parte di essa: ci dimentichiamo quanto sopra, che la religione pagana è religione della realtà e che deriva da una visione del mondo che può variare da città a città e da regione a regione anche nella stessa Grecia antica. Chi si ricorda qualcosa di storia, si ricorderà forse che le città greche erano dette città stato, che la Grecia non ebbe mai un'unità politica fino ai tempi di Alessandro, che esistevano diverse lingue e popolazioni, tutte greche, ma ciascuna con le sue peculiarità, si pensi solo all'eterno paragone tra Atene e Sparta. Non ci dobbiamo quindi stupire se a Tegea Ares era il dio delle donne e a Trezene era venerato insieme alle amazzoni. Ci stupiamo sicuramente meno di vederlo venerato con Afrodite: i templi di Ares ospitavano spesso un culto della dea, che nel mito ne è l'amante.
Tutte queste relazioni ci servono per cominciare a capire di più di Ares, dal momento che ogni figura divina deve essere considerata nelle sue relazioni con le altre dello stesso pantheon, perché fa parte della stessa visione del mondo. Questo è un primo tassello: il suo legame con Afrodite, da cui ha tre figli, anche loro parte del puzzle. Essi sono Phobos, che vuol dire paura, Deimos, che vuol dire terrore, e Armonia, l'armonia. Altro legame è quello con i culti della fertilità femminile.
Nei testi letterari antichi, Ares è definito 'odioso agli dei e agli uomini' per il suo legame con il sangue e la battaglia, ma ha anche un valore positivo, come leggiamo nella raccolta degli inni omerici:
Inno VIII ad Ares:
Ares dall'elmo d'oro, possente auriga di carri, intrepido salvatore di città, armato di scudo, coperto di bronzo, instancabile lanciere dal braccio robusto, baluardo d'Olimpo, padre di Nike gloriosa, sostegno di Temi, dominatore dei nemici, guida degli uomini giusti, maestro di coraggio, che ruoti il tuo disco infuocato fra gli astri delle sette vie, dove i cavalli fiammanti ti portano in eterno lungo la terza orbita: ascoltami, tu che difendi i mortali e dai giovanile vigore, fa' scendere dall'alto sulla mia vita la tua luce mite e la tua forza guerresca, così che io possa scrollare dalla mia testa l'odiosa viltà e piegare nel cuore le passioni che ingannano l'anima e frenare l'acuto impulso dell'ira, che mi spinge ad entrare nella mischia agghiacciante. Tu dammi, o beato, il coraggio di rispettare le norme della pace, sfuggendo alla rissa dei nemici e alla morte crudele.
Tratto da Inni omerici, a cura di Giuseppe Zanetto, Milano, Rizzoli, 2000
Tra gli inni omerici questo è certamente un inno anomalo: tutti gli altri inni celebrano un dio attraverso un mito che lo riguarda, questa è un'invocazione che ricalca lo schema degli inni orfici e neoplatonici. La composizione è infatti databile ad un'epoca molto tarda, qualcuno l'attribuisce a Proclo, qualcun altro a Plotino. Forse si è trattato di un errore del copista che ha compilato l'antologia di inni in epoca bizantina: nella raccolta erano presenti infatti anche gli inni di Proclo.
L'inno orfico ad Ares segue la stessa strada: è costruito ugualmente con una serie di aggettivi (anche se nelle traduzioni italiane non sono più tali, per la differenza linguistica di cui vedremo tra poco) e finisce con un richiamo alla "Pace che nutre i giovani". Gli dei pagani hanno spesso questo duplice valore di essere una cosa e tutelare il suo contrario: così Ares, legato alla guerra, tutela la Pace e Artemide, dea dei boschi e delle belve feroci tutela queste e i cacciatori. Questo Ares che viene qui descritto è l'Ares dei neoplatonici e degli orfici, identificato con il thymòs, parola greca che significa animo. Non c'è traccia della sua relazione con Afrodite, ma neppure con Atena: Atena infatti gli è spesso contrapposta, come nell'Iliade, in cui la dea ricorda ad Ares di essere più forte di lui. Nell'Iliade c'è un altro Ares, diverso da quello degli orfici, battagliero, sanguinario e, come già detto, sconfitto da Atena che pure è una dea guerriera e della guerra, nata già armata dalla testa di Zeus.
Facciamo un passo indietro e torniamo alla concezione della religione pagana come religione della realtà, che esprime la percezione del divino nel mondo. Che cos'altro ha una cultura per esprimere la propria visione del mondo? La lingua. La lingua greca antica è ricchissima di aggettivi e di sostantivi. In Grecia del resto è nata la filosofia, che si occupa di descrivere concetti e idee: la descrizione avviene proprio tramite gli aggettivi. Troviamo quindi tra i greci una particolare attenzione verso i concetti e questa attenzione si manifesta anche nella percezione delle divinità. Guardiamo alla Teogonia di Esiodo: da Caos, che è il primo degli dei, nascono Erebo e Notte, la quale a sua volta dà origine ad Etere, Giorno, Biasimo, Sventura, Nemesi, Contesa, Inganno e così via. Come si vede, questi dei esprimono nel loro stesso nome un concetto: perché allora non dovremmo pensare che anche gli dei olimpi siano l'espressione divina di un'idea?
Afrodite, la seduzione, titanessa potente (è figlia di Urano, una dea delle passioni 'primordiali' dell'uomo, così come Temi, altra titanessa, è la giustizia in sé, diversa da Dike che è la giustizia secondo le leggi umane), partorisce ad Ares, tra gli altri, Armonia, cioè l'armonia. L'armonia c'è se ci sono due opposti da armonizzare e l'opposto della seduzione è l'imposizione. Ares si oppone in guerra ad Atena, che è l'intelligenza progettuale o la forza indirizzata verso uno scopo; Atena nasce armata dalla testa di Zeus che ha ingoiato Metis, il cui nome significa proprio intelligenza. Ares è considerato sanguinario, ma ha a che fare, in altri contesti, con la fertilità delle donne, che è anche questa legata al sangue: chi è allora Ares?
Ares è la forza allo stato bruto, dirompente e il suo nome deriva da una radice che indica la violenza, il danno. Burkert addirittura dice che Ares era in origine un nome astratto che indicava la ressa in battaglia o la guerra. Ares è sia il furore della battaglia, odioso perché massacra, ma che, secondo orfici e neoplatonici, può essere preludio di una pace, sia, nella visione di altre popolazioni greche, quella forza bruta e legata al sangue, inarrestabile, che sta nel parto delle donne, l'espressione della fertilità. Non è semplice da spiegare perché l'intuizione del divino nel mondo può non essere facile da esprimere attraverso la ragione: per questo la lingua greca, come abbiamo visto, si arricchisce di nomi e aggettivi.
Ares è stato poi avvicinato a Marte. La stessa popolazione romana li ha avvicinati, come ha fatto per altri dei, assorbendo i miti greci. Ma in origine, Marte era proprio lo stesso dio?
Anche in questo caso, il pantheon di una cultura ne esprime la visione del mondo. Ad esempio, Ercole è considerabile in questo senso un dio italico non per il nome, ma per ciò che rappresenta: nei culti italici più antichi di Ercole troviamo caratteristiche che Eracle non ha o ha solo marginalmente e se sicuramente il nome ha la stessa origine, le due figure non esprimono la stessa porzione di mondo, quindi sono due dei diversi. Nessuno oggi accetterebbe di chiamare Mercurio il dio più importante dei Celti o dei Germani, come ha fatto Cesare, però siamo disposti a farlo, anche a causa della fusione stretta e precoce, per gli dei greci e gli dei romani.
Diverse sono anche le lingue: abbiamo visto che la lingua greca è ricca di aggettivi e nomi e che in Grecia è nata la filosofia. In latino, i termini filosofici sono tutti presi in prestito dal greco; il latino infatti è ricco di verbi piuttosto che di nomi, verbi di cui nelle traduzioni non sempre si apprezza la sottile differenza. Dal momento che la visione del mondo latina si concentra sull'azione, nel pantheon romano troviamo dei e dee, soprattutto quelli romano-italici delle origini, che esprimono il divino che c'è in un'azione. Uno dei primi appellativi di Marte è infatti gradivus, dal verbo gradior, camminare, quindi è Marte "che cammina", forse un riferimento alla cerimonia del ver sacrum a lui dedicata, in cui i giovani di una certa popolazione si allontanavano per fondare una nuova città. I Salii, sacerdoti di Marte a Roma, lo onoravano danzando; gli agricoltori portavano tre vittime attorno alle loro proprietà in suo onore.
Dumezil sosteneva che Marte nonostante ciò non potesse essere considerato un dio agricolo, perché incasellava rigidamente le divinità secondo la teoria della tripartizione, per cui una divinità o era divinità sovrana, o era divinità della guerra, o era divinità della casa e dell'agricoltura, ma Dumezil scriveva in un'epoca in cui si considerava ancora valida la teoria per cui la civiltà indiana sarebbe la civiltà originale di tutti i popoli indoeuropei, una teoria oggi superata. Questa tripartizione è considerata oggi eccessivamente rigida e dal punto di vista pagano non tiene conto del fatto che gli dei romani sono delle azioni. Né tiene conto del punto di vista dei linguisti, per i quali un dio non può derivare dall'altro se i nomi non hanno la stessa radice. Quindi Marte è anche un dio agricolo perché ha a che fare con l'agricoltura, come ha a che fare con tutta la vita della città, anche se non possiamo dire che sia un dio dell'agricoltura o della fertilità dei campi.
Un antico componimento religioso latino, noto come Carmen Arvale, scritto nella sua forma definitiva nel IV secolo a.e.v., è in onore di Marte. Gli Arvali erano sacerdoti che si occupavano dei campi e il loro nome deriva dal latino arva, frutti. Un solo verso di questo Carmen ci fa capire la differenza rispetto ad Ares. Il verso recita "sii sazio, feroce Marte, balza sulla soglia, fermati lì!". Tre verbi in un solo verso, mentre nell'inno omerico (nella versione greca) ci sono 17 versi e non compare un verbo riferito ad Ares prima della metà circa. E cosa fa allora Marte? Si sposta verso la soglia e rimane saldo, perché Marte è l'azione di difendere. I campi, in questo caso, ma potrebbe essere anche la città. Marte è la battaglia nel senso di combattere. E' la parte divina di un'azione. Si può difendere un campo non solo dai nemici, ma anche dai parassiti o da tutto quello che impedisce la crescita dei frutti. Cerere è la crescita dei raccolti, Marte è la loro difesa.
Come si vede, Ares e Marte sono simili, ma non uguali, perché non è uguale la cultura a cui appartengono; vengono avvicinati attraverso l'interpretatio, la 'traduzione' di un dio da una cultura all'altra. In una prossima pagina vedremo la stessa interpretatio all'opera per unire Marte con diverse divinità celtiche e come questa unione ci aiuti a comprendere la natura stessa originaria del dio romano.
Manuela Simeoni
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