Presso alcuni gruppi pagani moderni si trova l'idea di un monoteismo femminile primitivo, la presenza di una dea unica che poi verrebbe rappresentata in modi e sotto aspetti diversi. E' chiaro che ciascuno è libero di costruire le basi filosofiche del proprio paganesimo, perciò se a questi gruppi piace l'idea di un archetipo divino femminile alla base di tutte le numerose dee dei politeismi antichi, sono liberi di praticare di conseguenza il loro paganesimo. Ma è possibile attribuire questa idea alle religioni antiche così com'erano concepite e praticate prima dell'avvento del monoteismo come oggi lo conosciamo?
La tesi del monoteismo femminile primitivo è venuta in auge negli anni '70 in certi ambienti wicca e neopagani; all'epoca la riscoperta dell'importanza della donna per le religioni antiche fu di grande importanza per l'uscita dall'educazione repressiva monoteista. Tuttavia si è spesso esagerato e non solo si sono letti in questa chiave diversi ritrovamenti successivi, ma si è rischiato di costruire un monoteismo femminile basato però sugli stereotipi di femminilità imposti in realtà dal cristianesimo. Il fatto che antropologi e archeologi classificassero come "culto della dea madre" certe manifestazioni religiose non significa che esistesse un culto di una singola, precisa, dea madre, ma piuttosto che ogni popolo riconosceva un carattere divino all'evento della nascita e poiché nella nostra specie sono le donne ad allattare e a partorire, questa divinità era per forza rappresentata come femminile.
In realtà a noi sono giunte solo delle rappresentazioni, che noi pensiamo legate alla fecondità, ma non siamo in grado di dire se si trattasse di una sola dea, identica per tutte le culture, o anche di diverse entità appartenenti ad una stessa cultura rappresentate in maniera simile perché era d'uso, presso quella cultura, rappresentare le dee in quel modo. Per quanto riguarda popoli cosiddetti primitivi non abbiamo nessuna fonte che ci consenta di capirne la mentalità; i tentativi fatti attraverso dei parallelismi con le culture dell'Africa e dell'Oceania non hanno senso, perché non solo si tratta di tempi e luoghi differenti, ma anche perché comunque ci vengono riportate tramite traduzioni fatte per una mentalità moderna. Molti studiosi, cresciuti nel monoteismo, faticano a pensare a delle divinità presenti nel mondo alle quali rivolgersi in maniera non superstiziosa. C'è poi una evidente contraddizione: questi popoli ‘primitivi' avrebbero avuto un atteggiamento superstizioso, infantile e timoroso di fronte ai fenomeni naturali, ma avrebbero dimostrato un'alta capacità di pensiero astratto ritenendo queste terribili manifestazioni tutte opera di un unico dio o di un'unica dea. E' vero che nelle religioni antiche ogni aspetto della vita era legato agli altri, ma è anche vero che queste religioni non ignoravano la molteplicità della vita, espressa per l'appunto da diverse divinità.
Cecile Boelle ha dimostrato l'esistenza di un politeismo femminile presso i micenei attraverso i documenti di palazzo che registravano le donazioni ai templi delle divinità, nel suo libro po-ti-ni-ja. Anche nelle culture senza scrittura nota possiamo trovare una varietà di raffigurazioni di divinità femminili: chi ci garantisce, ad esempio, che nella cultura sarda prenuragica la dea raffigurata come nutrice fosse la stessa dea che gli archeologi chiamano "dea degli occhi"? Per spostarsi in religioni più note come quella greca e romana, troviamo anche qui una varietà di dee che non sono tutte riconducibili ad un'unica origine. Secondo una teoria, il politeismo sarebbe nato dal presunto monoteismo preistorico iniziale quando la società avrebbe cominciato a stratificarsi e la gerarchia degli dei sarebbe stata riflesso di quella terrena; è chiaro però che questa teoria mostra le sue debolezze soprattutto quando guardiamo alle dee.
Scartata l'ipotesi di un monoteismo femminile, si è fatta avanti quella di una trifunzionalità delle dee, che, a differenza di quella di Dumezil, ruota ancora una volta attorno all'unico punto della fecondità: tutte le dee sarebbero catalogabili nei tre aspetti della dea vergine, madre e anziana.
Le dee pagane antiche non sono intrappolate nello stereotipo che ruota attorno alla funzione riproduttiva della donna, che è l'unica funzione che il cristianesimo ci abbia tramandato di loro: si parla molto della verginità di certe dee (che nelle culture antiche era più intesa come nubilato che come verginità ginecologica), ma poco della loro essenza, della strategia e del pensiero intelligente diretto verso uno scopo, che è Atena, della femminilità fine a sé stessa che è Artemide, del focolare con tutto ciò che rappresenta che è Estia. La categoria di fecondità è stata creata in seguito, dagli studiosi delle religioni, e non da chi, nei tempi antichi, percepiva gli dei nel mondo. Proprio perché prima li percepiva e poi ci ragionava su, è naturale pensare che l'inizio sia stato politeista e solo in seguito siano venuti attributi e "accorpamenti” di divinità. Un po' come succede per esempio con i colori: prima percepiamo diverse tonalità, poi decidiamo che il crema, il panna, l'avorio, il candido ecc… possono andare tutte sotto il nome di bianco, mentre l'erba, lo smeraldo, l'oliva, l'ossido di rame possono andare tutti sotto il nome di verde.
Come pagani, abbiamo il dovere di scegliere, pensare, costruire una propria filosofia e non credere ad un monoteismo femminile attribuendolo ai tempi antichi perché qualcuno ce lo dice, soprattutto se poi si rivela una costruzione alquanto forzata: è un peccato che in Italia non abbiano ancora tradotto alcuni aggiornamenti sulle ricerche in merito, e che quindi lascino molti pagani "fermi al palo” delle ricerche della Murray, di Bachofen e della Gimbutas, molte delle quali sono pregevoli, ma non aggiornate.
Manuela Simeoni
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