Per quanto personalmente non ami il termine ‘neopagani’ che viene spesso usato per designare i pagani moderni, in contrapposizione a quelli antichi, in questo articolo vorrei comunque utilizzarlo per definire un particolare aspetto della figura dell’imperatore Flavio Claudio Giuliano, che in qualche modo si avvicina a noi pagani moderni.
Come noi, infatti, Giuliano non tenta la restaurazione integrale del pensiero religioso antico, che è probabilmente lontano dalla sua visione del mondo. Così come ogni pagano moderno è costretto a fare (con buona pace di chi ritiene di restaurare l’autentico paganesimo antico, cosa improbabile visto il distacco di mentalità tra noi e loro e l’impostazione collettiva allora e personale oggi della questione religiosa), anche Giuliano ricostruisce un paganesimo affine alla sua visione del mondo e al suo ruolo nella società.
Giuliano era infatti nato in un ambiente cristiano, e che bell’ambiente! Quando Giuliano aveva sei anni, al funerale dello zio Costantino I, i soldati per ordine di Costanzo trucidarono tutti i parenti di Costantino che potevano in qualche modo intromettersi tra Costanzo e il trono imperiale. Sopravvissero Giuliano e il fratellastro più grande, Gallo, con il quale Giuliano visse in esilio prima a Nicomedia, poi a Macellum in Cappadocia; solo all’età di vent’anni gli fu permesso di rientrare a Costantinopoli, prima di essere allontanato nuovamente poiché Costanzo temeva potesse diventare troppo popolare.
Quando critica il cristianesimo e i suoi miti, Giuliano ne dimostra una conoscenza profonda, traccia della sua educazione basata non solo sui testi classici (all’epoca non ancora espulsi dai programmi di istruzione) ma anche su vecchio e nuovo testamento. Anche questo suo essere cresciuto in ambiente cristiano fa parte del suo essere ‘neopagano’: non tanto perché convertito, ma perché costretto ad andare in cerca del paganesimo, senza assorbirlo dall’ambiente circostante com’era stato per secoli, e quindi a rielaborarlo per adattarlo a sé. E’ proprio nel IV secolo, all’epoca di Giuliano, che i pagani cominciano a pensare a sé stessi come ‘pagani’ (e questo è uno dei motivi per cui non mi piace usare il termine ‘neopagano’ per il paganesimo di oggi): solo in contrapposizione al cristianesimo.
Con il cristianesimo non è possibile adottare l’istituto dell’interpretatio: se era facile accostare Apollo al dio celtico Lugh e continuare a vivere felici, ciascuno chiamando il dio a proprio modo, questo non era possibile con il dio cristiano. Il cristianesimo non era neppure considerabile una religione etnica, quindi limitata ad un certo popolo per quanto incomprensibile, come era l’ebraismo. Da questa contrapposizione nasce, soprattutto in ambito neoplatonico, l’idea di un paganesimo come qualcosa di diverso dal cristianesimo. Certo, non veniva usato il termine ‘pagano’, che era ancora un insulto, e del resto nell’ ‘Ellenismo’ dei neoplatonici rientravano idee religiose estranee alle religioni greche e romane delle origini, mentre restavano fuori alcuni culti antichi poco compresi.
Così anche la rinascita di Giuliano, come tutte le rinascite pagane successive, parte da una selezione dei culti e delle idee del paganesimo allora esistente. Gli Oracoli Caldaici sono uno dei pilastri del pensiero religioso di Giuliano: secondo Rowland Smith (vedi riferimenti bibliografici sotto) è agli Oracoli e non al culto di Mithra che si devono molte delle idee contenute nell’Inno ad Helios Re. Ciò non significa che Giuliano non aderisse al culto di Mithra, che secondo altri autori assieme a quello del Sol Invictus, con cui fu talvolta identificato, era già parte dell’ideologia imperiale prima di essere sostituito dal cristianesimo da Costantino in poi. Non è facile però capire dove stia in Giuliano il confine tra culto religioso vero e proprio e interesse filosofico; di certo si occupò dei misteri della Madre degli Dèi, Cibele, alla quale dedica un altro inno e conosceva, non sappiamo bene in che grado, i misteri dionisiaci ed eleusini.
Al di là della sua visione personale c’è poi il ruolo di Giuliano nella società: non si riteneva divino in quanto imperatore, ma come tale si riteneva in obbligo di onorare gli Dèi di tutto l’impero e perciò di restaurarne i templi e promuoverne il culto nelle forme locali. Sottolineò inoltre più volte come i sacerdoti pagani avrebbero dovuto tenere un comportamento corretto e di esempio, ben sapendo come le offerte di carità del cristianesimo potevano attrarre le persone in difficoltà, che un tempo erano invece soccorse dallo stato romano e dalle città.
Sebbene in effetti ritenga per sé alcune forme di paganesimo praticabili e altre no, non volle mai creare un paganesimo unitario e men che mai un monoteismo mascherato come scrivono alcuni. Come scrive Libanio, onorò Dèi differenti in momenti differenti e non celebrò alcuni Dèi per ignorarne altri, ma rese onore a tutti.
Manuela Simeoni
16.07.2012
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