Giorno Pagano Europeo della Memoria

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INNI ORFICI

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Gli inni orfici sono una raccolta di 88 composizioni: un proemio in cui Orfeo si rivolge all’amico Museo e 87 inni, ciascuno dedicato ad una divinità cui il poeta si rivolge direttamente, elencandone nomi e attributi e quasi tutti accompagnati dell’indicazione dell’offerta odorosa appropriata. Secondo la tradizione, proprio Museo avrebbe messo per iscritto gli inni composti da Orfeo; Pausania ricorda anche un inno attribuito allo stesso Museo, quello a Demetra recitato nei riti a Flia. Ad Orfeo e alle sue opere (oltre agli inni, delle Argonautiche e i Lithica, istruzioni sull’uso magico delle pietre) si ispirerebbe un complesso di miti e credenze che definiamo, per comodità, orfismo, ma che non fu una realtà religiosa unitaria: vi sono infatti molte teogonie di tipo orfico, tra cui quella del papiro di Derveni e le tre citate da Damascio.

Mentre la teogonia di Derveni assegna un posto centrale a Zeus, identificato con Fanes, colui che mostra, dio generatore, negli inni si trova più spesso in questo ruolo il nome di Dioniso (che pure la teogonia di Derveni assegna allo stesso Zeus-Fanes). Ma gli inni orfici, a differenza di quelli omerici, narrano miti e gesta delle divinità solo raramente; sono composti da una sequenza di epiteti, come delle litanie, e spesso invitano direttamente la divinità a partecipare al rituale. Rarissimi, negli inni, sono anche gli accenni a credenze o principi religiosi e spesso si concludono chiedendo genericamente pace, salute e prosperità. Stando però a quanto dicono alcuni autori antichi, tra cui Pausania, il commentatore del papiro di Derveni e Menandro retore, esistevano altri inni orfici, diversi da quelli inclusi nella raccolta che possediamo oggi.

Non si sa bene quando o come l’attuale raccolta degli Inni orfici si sia formata. Secondo alcuni studiosi, almeno alcuni inni avrebbero origine egiziana per la loro somiglianza con i testi dei papiri magici greci, mentre secondo Otto Kern gli inni sarebbero nati in Asia Minore, dal momento che a Pergamo, nel tempio di Demetra scavato nel 1910, sarebbero state trovate diverse dediche alle divinità degli inni. La lingua e lo stile degli inni fanno pensare ad una redazione definitiva tra il secondo e il terzo secolo dell’era corrente, quando il dionisismo sarebbe stato particolarmente forte in Asia Minore; a Dioniso, sotto i suoi molti nomi, sono infatti dedicati otto inni della raccolta. Una comunità religiosa, probabilmente privata vista l’assenza di un inno all’imperatore romano, obbligatorio per le comunità pubbliche, avrebbe così voluto raccogliere gli inni usati nelle celebrazioni: non è chiaro però se li scrivesse, li commissionasse o se utilizzasse inni già esistenti. La successione degli inni è concepita come un progetto unitario e la raccolta comincia con dieci versi ad Ecate, che nei manoscritti sono uniti al proemio ma i filologi moderni ritengono debbano essere separati. Segue subito dopo l’inno a Prothyraia, divinità della nascita e la raccolta si chiude con l’inno a Thanatos, la morte.

Secondo Gabriella Ricciardelli, l’inno ad Ecate sarebbe stato inserito in un secondo momento, poiché sarebbe più logico che l’inno alla dea della nascita venisse per primo; anche il proemio sarebbe stato aggiunto in un secondo momento, poiché riporta nomi di divinità che non hanno poi un inno proprio, mentre divinità cui un inno si rivolge non sono citate nel proemio. Ma potremmo anche supporre una funzione di Ecate nella religione orfica che oggi ci sfugge e che renderebbe invece logica la collocazione dell’inno in prima posizione, come un legame tra Ecate e la vita prenatale del bambino. Quanto al proemio, si tratta di un proemio e non di un indice degli inni: anche in questo caso possiamo supporre una motivazione religiosa che non conosciamo dietro la sua composizione e il suo inserimento in testa alla raccolta degli inni.

Dopo il comprensibile silenzio nel Medioevo, nel periodo dell’umanesimo gli Inni orfici tornano a suscitare curiosità, ma anche paura: Marsilio Ficino che li tradusse dal greco al latino in gioventù non volle pubblicarli per timore di essere accusato di voler far rivivere il paganesimo. Questo, poco tempo prima di Ficino, era stato il tentativo di Giorgio Gemisto Pletone, umanista greco autore anche di 27 inni agli dèi in corso di pubblicazione sul sito del Giorno Pagano Europeo della Memoria. Ma anche se non pubblicò la versione completa, Marsilio Ficino citò spesso nelle sue opere frammenti degli inni orfici, contribuendo a diffonderne la conoscenza. Non bisogna dimenticare che l’immagine di Orfeo era stata usata dai primi cristiani per costruire l’immagine di Cristo; Orfeo nel Rinascimento era considerato un teologo e non un semplice poeta. Mentre quindi gli inni omerici potevano essere ‘liquidati’ come fantasie degli antichi, gli inni orfici erano considerati pericolosi da un lato, perché opera di un teologo antico, un potenziale rivale del cristianesimo, e affascinanti dall’altro, custodi di segreti antichi e carichi di un potenziale ‘magico’ che andava al di là dell’epoca antica.

Bibliografia

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Manuela Simeoni

 

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