Era passato all’incirca un millennio o poco meno dallo spegnimento del fuoco di Vesta a Roma, avvenuto all’incirca nel 391 e.v. dopo uno dei numerosi editti di Teodosio che proibivano le diverse pratiche pagane, quando anche l’ultimo fuoco pagano europeo si spense e l’ultima nazione europea ancora ufficialmente pagana si convertì.
Da un certo punto di vista, la conversione di Jogalia (o Jogaila, a seconda delle fonti), granduca di Lituania, battezzato nel 1385 con il nome di Ladislao II Jagellone, assomiglia molto a quelle di Costantino (se pure questo imperatore si convertì) e di Clodoveo re dei Franchi. Una mossa politica, insomma, volta ad assicurarsi l’unione con la Polonia: Jogalia poté, grazie alla conversione, sposare Jadwinga erede del regno di Polonia e ottenerne così l’esercito da schierare contro i Cavalieri Teutonici che premevano incessantemente ai confini. Ma il battesimo, avvenuto il 15 febbraio, non era che un atto simbolico e la cristianizzazione della Lituania era ancora molto lontana.
Come accadde anche per la conversione di Clodoveo, la nobiltà attaccata ai propri costumi non vide di buon occhio la conversione o la prese come un gesto simbolico, battezzandosi, ma continuando le antiche pratiche. Non parliamo poi dello scarso interesse che il gesto riscosse tra la popolazione.
Ancora nel 1547, il pastore protestante Martin Asvydas lamentava la necessità di condannare ripetutamente il culto di Perkunas, divinità legata al tuono, alla guerra e alla fertilità, cui era dedicata un’area sacra a Vilnius, la capitale. All’epoca di Asvydas i lituani non frequentavano la chiesa, non conoscevano le preghiere, non si astenevano dal lavoro la domenica e continuavano a cremare i propri morti, assieme ad un toro o ad un cavallo. Alcuni nobili lituani si ribellarono al cambiamento e il granduca di Lituania, ora anche re di Polonia, dovette lottare a lungo contro di essi. Uno dei segnali del cambiamento fu proprio lo spegnimento, avvenuto in questi anni, del fuoco di Perkunas a Vilnius. Sopra l’area sacra, fu costruita la cattedrale.
Qualche anno fa, la televisione lituana ha mandato in onda un servizio sull’instabilità della cattedrale, più volte colpita da fulmini e a rischio di crollo, per la presenza, si è scoperto, di un fiume sotterraneo, il cui alveo cede sotto il peso della cattedrale. Il servizio comprendeva un’intervista ai gruppi che seguono la religione tradizionale lituana, in particolare al prof. Jonas Trinkunas, che ne è il Krivis (alto sacerdote), che hanno illustrato le peculiarità del recinto sacro.
Il tempio di Perkunas si trovava nella valle di Sventaragis ed era frequentato in particolare da nobili e soldati che erano legati al dio in quanto dio della guerra. Un libro del XVI secolo sulla storia lituana lo descrive come un grande tempio di pietra che sorgeva alla confluenza del fiume Vilija e del fiume Neris, nei pressi di una foresta. Il tempio in pietra era stato voluto dal duca Gereimundas nel 1285 ed era privo di un tetto; vi si entrava dal lato del fiume maggiore e custodiva diversi oggetti sacri come offerte, anche di valore. L’area misurava circa 22 metri per altrettanti e il dio vi era rappresentato da un idolo in legno. Il fuoco eterno di Perkunas si trovava sopra un altare quadrato con dodici gradini. All’epoca in cui il libro fu scritto, non rimaneva più nulla del tempio, distrutto nel 1387. Non si sa che fine abbia fatto la scultura di legno della divinità: quando si convertì la Russia, la scultura della divinità analoga al lituano Perkunas fu battuta con verghe e gettata nel Dniepr, per cui è facile che anche questa abbia fatto la stessa fine, o sia stata data alle fiamme.
Come accadde in molti altri paesi slavi, e non solo, gli dei lituani vennero da un lato assimilati ai santi che ne assorbivano gli attributi per rendersi più accettabili alla popolazione, dall’altro furono invece demonizzati, in particolare quando, nel XVI secolo, giunsero in Lituania i predicatori protestanti, che non distinguevano tra culto degli dei e culto dei santi, marchiandoli entrambi di idolatria. Per capire l’indifferenza con cui i lituani accolsero la nuova religione, basti pensare al caso di Velinas, divinità protettrice della casa, le cui effigi stavano in tutte le abitazioni lituane: poiché i missionari chiamavano Velinas il diavolo, i lituani anziché smettere di tenere tali immagini in casa, accettarono l’idea che fosse il diavolo a proteggere le loro case e alcune effigi scolpite in epoche più recenti assumono tratti più tipicamente diabolici, ma sempre con un lato più buffo che spaventoso. Le immagini non furono comunque abbandonate: in Lituania esiste un museo di queste effigi, chiamato museo del diavolo, e i bambini ne creano di proprie nelle scuole, che poi si tengono in casa per buon augurio.
Il legame della popolazione lituana con la propria religione originale non si è mai davvero spento del tutto, al contrario di quanto è accaduto in Europa occidentale e a tutt’oggi molte persone in Lituania la praticano o tornano a praticarla, ma ai giorni nostri possono tornare a farlo apertamente.
In Lituania è nato nel 1998 il Congresso Mondiale delle Religioni Etniche, ad opera di Jonas Trinkunas stesso e del gruppo Romuva (è il nome della religione tradizionale lituana). Raccoglie membri da tutto il mondo.
Manuela Simeoni
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