Per l'Umanesimo e il Rinascimento l'antichità, anche quella pagana, è un grande bacino a cui attingere quello che si preferisce, spesso per usarlo come si preferisce, talvolta con poco riguardo verso l'antichità vera e propria. Soprattutto la mitologia e la religione dell'antichità vengono presentate in modi non antichi, ma adattate di volta in volta a chi li presenta, alle sue esigenze o idee: questa operazione è particolarmente visibile con il neoplatonismo, ma tutti i settori dell'antichità ne sono colpiti.
Lo vediamo anche in poesia; abbiamo già parlato degli inni di Giorgio Gemisto Pletone, parliamo in questa pagina degli Inni naturali di Michele Marullo Tarcaniota. A differenza degli altri, questi sono scritti in latino e senza alcun desiderio di riportare in vita la religione antica: sono una composizione poetica, non religiosa, anche se hanno alle spalle un'impalcatura filosofica che per esprimersi deve ricorrere alle figure dell'antichità classica ed è per questo che ne trattiamo qui, anche se non si tratta di poesia pagana in senso stretto. Della ripresa del mito classico nella letteratura senza risvolti religiosi pagani abbiamo del resto già trattato nel podcast "Ritorno ad Alessandria" con il ciclo "Echi del mito".
Michele Marullo, detto Tarcaniota, nacque l'anno dopo la morte di Pletone, nel 1453, a Costantinopoli che l'anno stesso fu presa dai Turchi; oltre che letterato fu anche soldato e in entrambe le vesti girò per l'Italia, da Napoli a Firenze. Nei suoi inni si mescolano la filosofia neoplatonica e quella lucreziana e qualcosa degli inni orfici; a differenza degli inni di Pletone, che appartengono all'utopia della restaurazione pagana, gli inni di Marullo sono ben collocati nel tempo in cui vive, dalla nostalgia marulliana per la patria greca perduta ai riferimenti alla situazione politica dell'epoca. I Turchi, ad esempio, sono paragonati ai Giganti che diedero l'assalto al cielo e il patriottismo è particolarmente evidente negli inni a Saturno e a Marte.
Del neoplatonismo, negli inni naturali di Marullo ritroviamo la concezione dell'anima come scintilla divina nell'uomo, incarcerata nel suo corpo che è causa del dolore. La vita felice non è terrena, ma nell'iperuranio, eppure Marullo rimpiange la caduta della patria greca, terra mitizzata ma anche terra del mito, degli Dèi cui Marullo eleva i suoi inni. Nel mondo, Marullo vede l'opposizione tra il caos e lo spirito ordinatore, Giove; ma è soprattutto il Caos a farsi sentire, nel mondo della materia: in questo si sente traccia del cosiddetto 'pessimismo' di Lucrezio. Così almeno amano definirlo gli studiosi di filosofia e letteratura che, avendo un'educazione cristiana considerano pessimista una visione della religione senza salvezza: la definizione è corretta però per parlare di Marullo che, nato cristiano anche lui, adotta questa visione in seguito alla disperazione per il mancato intervento divino a sostegno della patria.
Gli inni furono composti a Firenze, dove Marullo entrò in contatto non solo con il neoplatonismo di Ficino (neoplatonismo, ricordiamolo, che unisce le idee di Platone alla religione cristiana, non certo un neoplatonismo neopagano), ma anche con gli inni orfici dallo stesso Ficino tradotti anche se mai pubblicati. In qualche caso negli Inni Naturali osserviamo infatti che i vari Dèi sono presentati come manifestazione di un unico dio o un unico principio: Pan è chiamato Diespiter, dio padre cioè Giove, allo stesso modo in cui gli Orfici identificavano i diversi Dèi con Fanete e i neoplatonici rinascimentali consideravano i vari Dèi rappresentazione di un principio divino unico che poi finì per coincidere con il dio monoteista ma considerato dal punto di vista filosofico. Al di là degli influssi degli autori antichi, in Marullo c'è anche molto del Rinascimento e della sua concezione del mondo fisico: i quattro elementi, l'astrologia come scienza, la magia, si ritrovano tutti anch'essi negli Inni naturali
La raccolta è così costruita:
Si tratta di una specie di percorso che va dal massimo principio dell'universo (Giove Ottimo Massimo) fino alla Terra, che accoglierà tutti i corpi al momento della morte, dove la morte non è solo la dissoluzione del carcere dell'anima come in Platone, ma anche un momento di quiete e riposo, finalmente, e in ciò si sente l'influenza di Lucrezio.
Come Marsilio Ficino non volle mai pubblicare la sua traduzione degli Inni orfici e della Teogonia di Esiodo per non essere accusato di paganesimo, così anche Marullo si discolpa nei suoi inni dicendo di avere per primo egli stesso condannato il costume degli antichi, cioè il paganesimo. I suoi Dèi sono innanzitutto simboli e allegorie, non figure religiose autonome; il mito è sacro perché è greco come lui, non perché abbia valore religioso.
Perché allora trattare di questi inni se così poco hanno a che fare con il paganesimo? Perché attraverso gli Dèi, Marullo si ricorda della sua patria d'origine e perciò gli inni sono la testimonianza di quanto, pur dopo mille anni di cristianesimo, la Grecia ancora si identifichi con i suoi antichi Dèi: sono quelli e il loro ricordo, non le chiese bizantine, a fare l'uomo greco del Rinascimento.
Manuela Simeoni
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