Orosio visse a cavallo tra il 4 e il 5 secolo; la sua opera Historiarum adversus paganos libri septem, sette libri di storie contro i pagani, fu il libro di storia fondamentale per tutto il medioevo. Durante la sua vita conobbe altri autori protagonisti della polemica antipagana dell'epoca: fu discepolo di Girolamo e fu Agostino di Ippona a spingerlo alla stesura delle Storie. Con Agostino era entrato in contatto nel 413 e a lui Orosio aveva chiesto la soluzione di alcune questioni teologiche poste da priscilliani e origenisti. In seguito scrisse le Storie come integrazione della Città di Dio di Agostino, in cui si confutava l'ipotesi che alcuni dei recenti mali per l'impero romano (tra cui il sacco di Roma ad opera di Alarico nel 410) fossero da imputare all'avvento del cristianesimo e al conseguente abbandono dei culti tradizionali, sostenendo che invece tali avvenimenti avevano percorso tutta la storia.
Orosio nelle sue Storie accentua quest'aspetto apologetico e anzi piega l'intera narrazione storica alla sua visione provvidenziale: prima del cristianesimo infatti "regnava la morte avida di sangue, giacché non si conosceva la religione che dal sangue tiene lontani" (Prol., 14) e solo con il trionfo completo del cristianesimo la morte sarebbe stata finalmente sconfitta. Per agevolare questo trionfo la provvidenza avrebbe creato Roma con il suo impero, che dovevano unificare il mondo per una più facile diffusione del cristianesimo, e indotto le invasioni barbariche: tutto il male proviene dalla colpa dell'uomo o dalla punizione di Dio. Per questo spesso accentua i fatti tragici del passato, mentre invece attribuisce l'occasionale mitezza dei barbari alla loro conversione al cristianesimo, come nell'episodio dei Goti (I, 16) che chiedono l'alleanza di Roma e un territorio in cui stabilirsi invece di invadere la città e prendersi la terra con le armi. L'intera storia, compresa la presentazione dei personaggi famosi, è piegata a questa sua visione.
Pare che Orosio non conoscesse il greco e che quindi le sue fonti fossero limitate a quelle latine. Di quelle latine non si è comunque occupato a fondo: per la storia d'Oriente utilizzò soprattutto l'opera di Marco Giuniano Giustino, a sua volta tratta da Pompeo Trogo, mentre per il resto, oltre ovviamente alla bibbia, probabilmente trasse qualcosa da Tacito, da Livio o da qualcuno dei suoi riassunti, e certamente dalla Cronaca di Eusebio, altro storico cristiano, nella versione di Girolamo, anch'egli fonte dell'opera di Orosio.
Ma l'importanza dell'opera di Orosio in una storia ideale della letteratura antipagana tardoantica sta nella fortuna che quest'opera ebbe nei secoli successivi. Per gli storici medievali era la fonte principale sulla storia antica, assieme alle cronache di Eusebio riscritte da Girolamo: divenne tanto fondamentale per la conoscenza della storia antica, che fu tradotta in diverse lingue volgari, in arabo e stampata già nel 1471. Perché Orosio smettesse di essere considerato una fonte attendibile per i fatti e i personaggi della storia antica, vista la sua visione estremamente parziale e il metodo storico più ideologico che scientifico, dobbiamo aspettare il diciannovesimo secolo.
Manuela Simeoni
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