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IL SACRIFICIO DEI BAMBINI PRESSO I FENICI-CARTAGINESI

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"C’era una statua di Cronos in bronzo, dalle mani stese con le palme in alto e inclinate verso il suolo, in modo che il bambino posto su esse rotolava e cadeva in una fossa piena di fuoco"

Così racconta Diodoro Siculo, storico greco, a proposito del presunto costume dei Fenici e in particolare dei Cartaginesi, di sacrificare i propri figli ad un dio identificato con il greco Cronos (che divorava i suoi figli affinché non lo spodestassero, fino a quando Rea gli diede da ingoiare una pietra invece del neonato Zeus). Anche Plutarco conferma la notizia, mentre non ne parlano altri storici, come Erodoto, Tacito, Polibio e Livio, sebbene anch’essi appartenessero a culture in lotta con Cartagine. Proprio per questa contrapposizione, le testimonianze greco-romane sui culti cartaginesi dovrebbero essere considerate con tutte le dovute cautele. Invece non è stato così, e ancora oggi molte fonti "storiche" riportano come pratica usuale dei Cartaginesi il sacrificio dei propri figli.

Già gli antichi esecravano l’abitudine ai sacrifici umani, tanto che la loro effettiva portata potrebbe essere stata, almeno in alcuni casi, esagerata per far emergere, per contrasto, la civiltà della società in cui si viveva all’epoca: molti sono i miti in cui un eroe civilizzatore, ad esempio Ercole, spinge una certa popolazione ad abbandonare la pratica del sacrificio umano. E’ un modo di dire che ci si è evoluti, che si è diventati civili da selvaggi che si era. Ed è anche un modo, in certi casi, di dimostrare la propria civiltà a fronte di popolazioni ancora "barbare": così nasce la leggenda per cui i Fenici sacrificavano i propri figli al dio Baal. Infatti, cosa c’è di più infamante dell’uccidere bambini, soprattutto i propri figli? Si tratta di un’accusa molto grave e quindi utile alla propaganda perché genera un istintivo orrore, facendo leva sulle parti primordiali della mente umana.

La cosa più grave è che generazioni di archeologi si sono appoggiati alle testimonianze di Diodoro Siculo e Plutarco, ma soprattutto alla bibbia: ("hanno costruito gli alti luoghi di Tofet, nella valle di Ben Hinnom, per bruciare i loro figli e le loro figlie" (Geremia 7:31) e "vi hanno edificato gli alti luoghi di Baal, per bruciare a lui i loro figli in olocausto" (Geremia 19:5)) per dimostrare la realtà di questi sacrifici. Ai depositi cinerari rinvenuti in area fenicia si assegnò il nome biblico di "tofet" (luogo di arsione in ebraico) e poiché le ceneri appartenevano a bambini, frammiste a quelle di animali, si credette di aver trovato le prove dei sacrifici.

Non si volle per lungo tempo, prima dell’opera di Sabatino Moscati, tener conto di alcune incongruenze che dovevano portare a riconsiderare il problema dei sacrifici. La prima è certamente l’inaffidabilità delle testimonianze che provengono da popoli ostili ai Cartaginesi. La seconda è la stratificazione delle ceneri, che indica un’elevata frequenza della deposizione: se erano sacrifici, dovevano essere frequenti, ma questo sarebbe stato un problema in una società dove la mortalità infantile era alta. Se la mortalità infantile era alta e la deposizione nei tofet era riservata ai sacrificati, avremmo dovuto trovare altre tombe di bambini: queste però non sono state rinvenute in altre necropoli. Tra sacrifici e morti naturali, significa che i cartaginesi avrebbero dovuto estinguersi nel giro di poche generazioni. Tanto più che le ceneri sono per l’80% appartenenti a feti o neonati di qualche giorno; per non abbandonare l’ipotesi del sacrificio umano, si era addirittura pensato ad aborti appositamente procurati per il sacrificio al dio, ma si tratta di un’altra pratica che avrebbe portato all’indebolimento della popolazione e non si capisce quindi come Cartagine avrebbe potuto diventare la potenza che era. L’altro 20% delle ceneri apparteneva ad animali e a bambini fino ai quattro-cinque anni, comunque rari. La progressione dell’età dei bambini coincide significativamente con le percentuali di mortalità delle diverse età. E’ in realtà probabile che almeno la stragrande maggioranza dei bambini fosse morta per cause naturali o per incidenti e che venissero quindi resi sacri alla divinità, affidandoglieli, forse come buon auspicio per la nascita di altri figli. Le offerte di animali, come di oggetti di vario genere, sono comuni a praticamente tutti i culti antichi, e non necessariamente va loro attribuito un carattere di sacrificio di sostituzione, al posto di un bambino.

A questo punto si dovrebbe guardare alla divinità dedicataria di tutti i sacrifici: le dediche sulle urne non si rivolgono solo ad un dio maschile, Baal, ma anche ad una dea, Tanit, il che rafforzerebbe il legame tra rito e desiderio di avere altri figli. Anche la propaganda diffamatoria ha taciuto questo particolare e i sacrifici dei bambini sono stati tradizionalmente, perché giudicato culturalmente più appropriato, associati a divinità maschili. Entrambi gli dei hanno a che fare con la fertilità e l’abbondanza e Baal, sebbene tradizionalmente associato con il dio Cronos, è ritenuto un dio benevolo nei confronti degli uomini.

La "diffamazione" del paganesimo fenicio è continuata per parecchio tempo e continua tutt’ora nei libri scolastici e sui siti internet, nonostante la maggior parte degli studiosi, anche se restia ad abbandonare del tutto la tesi del sacrificio umano (quando dovrebbe innanzitutto descrivere un ritrovamento e distinguere tra sacrificio umano, uccisione rituale e sepoltura rituale), sappia che ormai non si può parlare di una pratica sacrificale così diffusa tra i Fenici. Inoltre, il verbo che viene impiegato in ebraico, che viene tradotto pensando ai sacrifici, ma che letteralmente significa "passare nel fuoco", con riferimento probabilmente ad una pratica di iniziazione-guarigione diffusa presso i popoli di tutta Europa, il passaggio tra i due fuochi e che pare i Fenici praticassero proprio per l’iniziazione dei figli, i quali, raggiunta una certa età, presumibilmente quattro o cinque anni, facevano il loro ingresso nella società.

Manuela Simeoni

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