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I TEMPLI DI ROMA TRA PAGANESIMO E CRISTIANESIMO

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Ancora oggi è possibile leggere l'opinione di qualche studioso che ritiene che il cristianesimo abbia non cacciato, ma quasi naturalmente sostituito un paganesimo morente e in declino quale quello dell'epoca tardoantica, e che anzi il cristianesimo, appropriandosi di edifici ed elementi formali del paganesimo, ne avrebbe in qualche modo garantito un certo grado di sopravvivenza o la perpetuazione di alcuni suoi elementi positivi. Ma si può davvero parlare di declino del paganesimo per quell'epoca e in che termini?

Il culto imperiale va a minare le fondamenta del culto pagano romano, nella sua natura di contratto tra uomini e dèi (Costantino nel 315 si rifiuta di rendere omaggio a Giove Capitolino quando visita Roma in occasione del suo decennale) e perciò di parte integrante della vita civica. Quello che sfugge spesso parlando di religione romana è la considerazione originaria degli Dèi come cittadini, speciali, potenti e degni di onore ma comunque cittadini che vengono integrati nella vita civica mediante riti con valenza di contratto. E' difficile capire che il sacerdote romano assomiglia più al tribuno della plebe che al sacerdote cristiano attuale e spesso si dipingono anche i sacerdoti romani nell'atto di sottomettere il popolo in quanto depositari e interpreti del volere divino; questo anche perché si dimentica la natura politeista e quindi plurale del pantheon romano. Non esiste il sacerdote "del" dio, ma il sacerdote di "un" dio, così come non esiste "il" magistrato, ma "un" magistrato: console, censore, edile, tribuno, ciascuno con la sua funzione all'interno di un quadro più ampio senza il quale non avrebbero ragion d'essere. Con il culto imperiale viene meno la funzione della religione come forma contrattuale ed è questo che determina il declino della religione romana così come gli storici lo vedono nella tarda antichità. Un declino dovuto allo svuotamento dei riti dalle loro funzioni, non ad una disaffezione al culto o ad una insufficienza della religione romana nel rispondere al desiderio di speranza della gente.

A fine IV secolo abbiamo testimonianza dell'attività dei culti pagani, ad esempio nel programma di restauro dei templi nel IV secolo, nonostante già una legislazione tesa al progressivo divieto per i culti pagani: tra 353 e 359 Memmio, prefetto urbano di Roma fa restaurare il tempio di Apollo, nel 367 il suo successore Pretestato restaura il foro degli Dèi Consenti, nel 374 il prefetto Claudio Cesario ripara i danni inferti da un'inondazione al tempio del Buon Evento. A Ostia il restauro del tempio di Ercole è finanziato pubblicamente, mentre a Roma il figlio di Simmaco come privato finanzia quello del tempio di Flora. Nel 374-76 abbiamo ancora notizie di sacrifici pubblici solenni. Se Costanzo II ordina nel 354 la chiusura dei templi (Cod Theod 16,10,4), probabilmente in risposta ad un suo ufficiale insediato in una zona in cui lo si riteneva unico modo di fermare le pratiche sacrificali in precedenza proibite, dopo la parentesi di Giuliano e ancora sotto Valentiniano abbiamo una legge in cui a ciascuno è consentito praticare la religione "che il suo animo gli suggerisce" (Cod Theod 9,16,9). Nel 382 ancora Graziano, pur ribadendo il divieto di sacrificio, incoraggia il suo ufficiale in risposta al quale il decreto è emanato a permettere le visite ai templi in occasione delle riunioni nei giorni di festa. Bisogna aspettare il 391, con l'editto Nemo se hostis polluat (Cod Theod 16,10,10) affinché tutte le pratiche pagane, incluse le mere visite ai templi siano vietate.

Nel frattempo, Roma non è più sede imperiale, è piuttosto una città simbolo e pertanto le forze aristocratiche pagane hanno ancora una certa influenza, contrariamente a quanto accade in altre zone dell'impero, ad esempio in Egitto, dove i monaci appaiono particolarmente aggressivi nei confronti degli antichi culti, o a Milano con il vescovo Ambrogio. A Roma la prima aggressione contro i culti pagani è del 377, quando il prefetto Gracco ordina di rovesciare le statue nei templi e chiudere i santuari di Mitra, come testimonia Prudenzio (Contro Simmaco I 561-565). Non vi fu però nessuna ondata di vandalismi e distruzioni al seguito di quest'ordine, al contrario di quanto accadde in Oriente sotto il prefetto Materno Cinegio, e il particolare accanimento dimostrato contro i mitrei venne probabilmente percepito non come atto religioso, ma come atto politico, dal momento che il culto di Mitra era particolarmente diffuso tra soldati e protagonisti di complotti di corte.

A Roma, l'appropriazione dei resti del paganesimo da parte del cristianesimo avvenne più attraverso l'occupazione del tempo che dello spazio: ancora nel 458 l'imperatore Maggioriano invita il prefetto di Roma Emiliano a vegliare sulla conservazione dei templi antichi in quanto monumenti pubblici o di uso pubblico. Solo nel 609, con la trasformazione del Pantheon, anche i templi di Roma cominciano ad essere convertiti in chiese, con un'appropriazione culturale che segue quella politica ed economica: in pratica, solo quando il culto pagano è stato svuotato dei suoi significati il cristianesimo a Roma si appropria del tempio, la cui presenza in città ha ormai una valore puramente storico ed estetico.

Alla conversione del Pantheon seguono diverse appropriazioni e spoliazioni nella città di Roma, autorizzate dagli imperatori che formalmente sono gli unici a poter disporre dei templi in quanto edifici pubblici: papa Onorio I è autorizzato dall'imperatore Eraclio a riutilizzare le tegole in bronzo del tempio di Venere e Roma, il tempio di Mater Matuta nel Foro Boario è ricoperto dalla chiesa di Sant'Omobono, un tempio ai Lari viene trasformato in chiesa ai santi Cosma e Damiano.

Le appropriazioni si fanno più frequenti nell'VIII secolo, grazie al distacco dall'impero orientale e all'alleanza con i nuovi re Franchi: conversioni come quelle del Pantheon non sono quasi più possibili, perché i secoli di mancata manutenzione rendono i templi spesso pericolanti e talvolta è necessario abbatterli senza una motivazione religiosa, ma capitano ancora, come la conversione del tempio di Portunno nel Foro Boario in chiesa dedicata a S. Maria Secundicerii (poi S. Maria egiziaca). Nel 1916 almeno questo tempio fu "liberato" delle modifiche apportate per la trasformazione e oggi è visibile nel suo aspetto originario di tempio e non più come chiesa. Tre templi nel Foro Olitorio, di cui uno certamente in buone condizioni, vanno a costituire, con quel che ne rimane, il nucleo della basilica di S. Nicola in Carcere, conversione che comporta l'abbattimento della cella del tempio centrale per aumentare lo spazio a disposizione: i templi erano dedicati a Giunone Sospita, a Spes e il terzo a Giano o a Pietas. Nella chiesa sono oggi visibili, incorporate nei muri laterali, alcune colonne dei templi antichi e gli scavi degli anni '20 nei dintorni hanno portato alla luce altri resti. I successivi restauri a cui le chiese sono state sottoposte nei secoli ci impediscono di datare con sicurezza la conversione o la copertura di altri templi, ad esempio quella del tempio rotondo a Ercole nel Foro Boario, dedicato a S. Stefano o quella del "tempio A" dell'area sacra di Largo Argentina, sul quale sorse la chiesa di S. Nicola de' Calcarario, avvenute tra VIII e XI secolo.

Ancora nell'XI secolo, Ottone III fece costruire una chiesa sui resti del tempio di Esculapio sull'isola Tiberina: una manovra propagandistica con cui intendeva presentarsi come il campione della cristianità contro il male, quasi si trattasse di un nuovo Costantino, pronto ad abbattere i templi di un culto non suo.

Riferimenti:

Manuela Simeoni

 

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