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I TRATTATI SULLE STREGHE NEL QUINDICESIMO SECOLO

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Se già dal Trecento, esauritasi la lotta contro le grandi eresie e aumentati i flagelli di pestilenze, guerre e carestie, l'attenzione degli inquisitori comincia a spostarsi sulle streghe, è nel Quattrocento che fioriscono i trattati sulla stregoneria, trattati che vanno sempre più allontanandosi dal Canon Episcopi e sempre più affermando la realtà della stregoneria. Qualche trattatista individua correttamente nelle pratiche condannate dal Canon i resti dell'antico paganesimo e da quest'ultimo separa la stregoneria sua contemporanea, e qualcun altro si impegna a dimostrare la realtà del volo delle streghe: la realtà del volo pare sia l'ultimo muro da abbattere per affermare l'esistenza delle streghe anche dal punto di vista canonico, perciò è spesso al centro di notevoli passaggi dei trattati, quando non addirittura di trattati interi.

Così fa ad esempio Alfonso Tostato, autore dei Commentaria (Commentari), in cui, nella Quaestio XLVII, utilizza passi della Bibbia e storie di santi per dimostrare che il diavolo può trasportare corpi in volo (nel vangelo di Matteo si dice infatti che il diavolo trasportò Gesù sul pinnacolo del tempio, di alcuni nemici di santi si dice che inviassero diavoli affinché portassero loro i santi prigionieri); essendo i diavoli angeli malvagi, e non avendo perso con la caduta i loro poteri, hanno la facoltà di trasportare anche più uomini in luoghi distanti, così come gli angeli di luce fanno girare i cieli. I Commentaria effettuano quindi la saldatura tra le riunioni di Diana nominate nel Canon e le riunioni diaboliche: il Canon stesso dice che le donne che credono di recarsi al gioco di Diana sono ingannate dal diavolo e poiché non possono esistere altre divinità oltre al dio cristiano, ne consegue che la Diana che vedono è un diavolo che ne ha preso le sembianze, perciò queste donne si trovano al cospetto del diavolo. Inoltre, sempre nel Canon si afferma che queste donne sono chiamate al servizio di Diana, ma Alfonso Tostato risponde che non bisogna credere a ciò, perché il diavolo non ha il potere di costringere gli uomini ad obbedirgli, e quindi le donne che si recano al "gioco" hanno stretto un patto con lui.

Il distacco dal Canon è così definitivo: i trattatisti successivi affermeranno di volta in volta che il Canon osteggia culti pagani, mentre ben altra cosa è la stregoneria, che il Canon vieta di credere all'esistenza della dea Diana o di Erodiade, ma non al volo notturno; le streghe divengono così eretiche adoratrici del diavolo, una setta malefica che gli inquisitori devono estirpare. Per farlo, la chiesa ha bisogno di strumenti teologici e giuridici; in suo soccorso vengono Johann Nider, Bernardo Basin e Jean Vineti.

Johann Nider è autore, attorno al 1435-37, di un dialogo fra un teologo e un ignorante, il Formicarius (Il Formicaio), che comincia con la constatazione che in Germania sono diminuiti i fedeli e contemporaneamente si sono verificati alcuni fatti quasi miracolosi, se non fosse che solo a dio spettano i miracoli. Riporta dunque diversi aneddoti di bambini uccisi da pratiche magiche e poi mangiati dai malèfici, di rei confessi che parlano di patti col diavolo e varie cerimonie, assumendo l'opinione della facoltà di teologia di Parigi, che nel 1398 aveva riconosciuto la realtà della magia e il suo legame con il diavolo. Non parla ancora di streghe, ma di "malèfici" che compiono il male per i poteri che dà loro il diavolo, mentre sul volo notturno riporta un altro aneddoto che ne dimostra lo scetticismo in proposito: racconta di un santo al quale una donna disse di volare di notte al cospetto di Diana, ma quando l'uomo volle osservare il fenomeno, vide la donna addormentarsi e sognare di essere al cospetto di Venere (è la prima volta che viene nominata questa dea), ed è così dimostrata l'inconsistenza di queste storie. Nider afferma inoltre, per bocca del suo teologo, che i malèfici vanno fermati, ma non è lecito farlo per opera di altri malèfici: gli atti di fede proteggono dai malefici, i danni arrecati con qualcosa di tangibile (ad esempio una lucertola sepolta sotto la soglia di casa per togliere la fertilità ai suoi abitanti) possono essere tolti senza ricorrere ad ulteriori superstizioni e soprattutto "al contatto con la pubblica giustizia il malèfico perde tutte le forze della sua malvagità". E' chiaro quindi l'appello all'intervento giuridico contro queste persone e all'appello aveva già risposto Bernardo Basin con il Tractatus exquisitissimus de magicis artibus et magorum maleficiis (Trattato squisitissimo sulle arti magiche e sui malefici dei maghi, 1432), in cui si rintracciano nel diritto canonico le disposizioni necessarie a combattere le arti magiche. Al trattato di Basin fa seguito il Tractatus contra daemonum invocatores (Trattato contro gli invocatori di demoni), di Jean Vineti, inquisitore a Carcassonne. Vineti si distacca quasi subito dal Canon, affermando la differenza tra le donne ingannate dal diavolo e i moderni eretici che invocano i demoni e ad essi sacrificano i bambini e come Tostato ricorre a passi biblici e alla Summa theologiae (La summa della teologia) di Tommaso d'Aquino per confermare la realtà del volo notturno, degli accoppiamenti con i demoni e dei malefici compiuti.

Un altro passo avanti verso l'esplosione della caccia alle streghe è compiuto dal frate domenicano Nicolas Jacquier, autore del Flagellum haereticorum fascinariorum (Il flagello dei maliardi eretici), il cui scopo esplicito è di dimostrare la realtà delle streghe (i fascinarii) per legittimarne la persecuzione e spingere la chiesa ad intervenire contro questi uomini, donne e persino ecclesiastici complici consapevoli del diavolo nel compiere atti contro l'umanità. Questi ultimi, a differenza delle donne del Canon, sono secondo Jacquier una vera e propria eresia e una setta, che adora il diavolo come un dio e che si riunisce in "sinagoghe diaboliche" (in molti paesi la persecuzione delle streghe si avvicina a quella degli ebrei e sempre nello stesso periodo il teologo Pierre Mamoris, nel suo trattato Flagellum maleficorum (Il flagello dei malèfici), usa per primo il termine "sabba" per indicare la riunione delle streghe), non in sogno, ma durante la veglia, e tutto ciò che accade lì vi accade veramente, come dimostrerebbe, secondo Jacquier, il fatto che tali luoghi e i diavoli che vi si trovavano erano scomparsi repentinamente quando alcune persone lì introdottevi si erano fatte il segno della croce. La realtà dei malefici prova il patto con il diavolo e la diffusione della pratica sarebbe dovuta agli stessi diavoli e "con il giusto consenso di un Dio adirato e disprezzato" dai numerosi "peccatori cristiani".

Nonostante tutti i tentativi di rintracciare nel diritto gli strumenti giuridici per la persecuzione delle streghe, l'apparato legislativo non è ancora preciso e così Girolamo Visconti, professore di logica in Lombardia, corre in aiuto del duca Sforza, costretto per questo motivo ad intervenire nei processi contro le streghe. Comincia qui ad apparire il termine stesso di "strega", stria, dal latino strix, essere mitologico che insidiava i bambini. Visconti scrive addirittura due opuscoli, il Lamiarum sive striarum opusculum (Opuscolo sulle lamie o streghe) e l'Opusculum de striis (Opuscolo sulle streghe). Nel primo opuscolo appare evidente il cambio di mentalità: se nel Canon era da disprezzare chi avesse giudicato reali le cose sognate dalle donne di cui si parla nel testo, adesso, pur distinguendo streghe e donne del Canon, è da stolti negare le "fascinazioni magiche" che sono una realtà consolidata, di cui sono vittime in particolare i bambini. Per queste eretiche, che si recano al "gioco" nella realtà e non in sogno "la giusta pena è il rogo". Invertendo completamente qualsiasi logica dettata dal buon senso, Visconti arriva ad affermare che se il "gioco", i patti con il diavolo, le riunioni, i sacrifici e le profanazioni della croce fossero una fantasia, non ci sarebbe la pena del rogo, perciò, dal momento che queste donne finiscono al rogo, tutto quanto detto sopra deve essere una realtà. Altri argomenti a favore della realtà del "gioco" in Visconti potrebbero far sorridere, se non fosse per il fatto che sono costate la vita a milioni di persone: ad esempio, il "gioco" non può essere un sogno perché queste persone dicono di recarvisi dopo cena e poiché Aristotele dice che i sogni sono impediti dai vapori del cibo che si trova nello stomaco, dunque il "gioco" non può essere un sogno. Le donne del Canon non si recano veramente al gioco, com'è provato da chi le osservò dormire mentre quelle sostenevano di essersi recate ad esso, anche perché non è possibile, come esse affermano, che gli animali mangiati durante il banchetto, dei quali sono state conservate le ossa, rivivano per volontà della "Signora del gioco". Secondo quanto detto in quest'ultima parte, parrebbe dunque che queste donne non vadano condannate al rogo perché si limitano a fantasticare, ma Visconti chiude il suo opuscolo ribadendo la realtà dei malefici, dei patti con i diavoli e riprendendo l'affermazione di Agostino secondo cui "compiacersi di una falsa colpa è vera colpa": quindi le donne che non si distaccano da ciò che sognano, ma lo credono vero, sono colpevoli e dunque, meritevoli del rogo. Ed è proprio quello che succederà nei secoli a venire.

Manuela Simeoni

 

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