Nella standardizzazione del nostro database o censimento ci sono alcuni quesiti che bisogna porsi, alcuni relativi al database nel suo insieme e altri relativi ai singoli campi. Il tutto nell’ottica di stabilire uno schema generale che possa essere semplice da utilizzare e allo stesso tempo completo, che favorisca la comunicazione ma sia abbastanza flessibile da adattarsi alle esigenze dei singoli paesi europei, qualora effettivamente si riuscisse ad allargare la collaborazione al di là dei confini come auspicato. I primi aspetti da esaminare sono quelli relativi al database nel suo insieme; tratteremo innanzitutto le problematiche poste dalle diverse scelte necessarie e di seguito, almeno per la maggior parte dei casi, soprattutto quelli riferibili alla sistemazione del database già esistente, proporremo alcune possibili soluzioni.
Per decidere cosa inserire in un database, bisogna considerare quale sia l’oggetto del database, quale il suo scopo, quali i suoi destinatari e quali dati conseguentemente si ritiene di dover inserire nella descrizione-rappresentazione dell’oggetto.
In questo caso, già l’oggetto del database, per i motivi già esposti nell’introduzione, va meglio definito rispetto alla prima edizione del censimento. In questa edizione, come nel titolo della serie di articoli, si parlava di templi pagani riutilizzati per chiese cristiane; è vero che i templi monumentali greci e romani sono quelli che lasciano sul territorio tracce più semplici da ritrovare e da identificare come vestigia di templi, ma oggi le scoperte archeologiche ci consentono di individuare luoghi sacri ai popoli precristiani che non sono identificabili strettamente come templi, ma che devono rientrare, anche solo per la completezza dell’informazione, nel censimento. Sono luoghi che sono chiaramente più difficili da identificare, ma che talvolta è possibile farlo, anche là dove vi è stata posta sopra una chiesa. Come si può vedere nell’edizione corrente del censimento, si è voluto prendere in considerazione non solo quei templi e quelle parti di templi che sono stati materialmente riutilizzati come o all’interno di chiese cristiane, ma anche quelli i cui siti sono stati coperti da chiese. Un titolo corretto per il nuovo standard dovrebbe sottolineare l’ambito cui fa riferimento, come ad esempio "Standard di rappresentazione per un censimento dei siti e oggetti sacri precristiani riutilizzati per chiese cristiane". La definizione dell’oggetto e di conseguenza il titolo dello standard sono un primo punto di discussione.
Che cosa si propone il censimento? Il censimento punta a fornire informazioni su quei siti e templi sacri precristiani che non sono oggi facilmente conoscibili: la valle dei templi di Agrigento o i templi di Paestum o diversi scavi archeologici oggi visitabili che hanno portato alla luce siti identificati come sacri sono chiaramente individuati come tali. Pagani e appassionati e ricercatori di civiltà e storia antiche, che sono i destinatari di questo database, possono visitarli o leggere studi e libri scritti su di essi, ma quanti sanno che le chiese dedicate a Stefano a Bologna, Verona, Roma e Benevento sorgono sul sito di templi dedicati a Iside? Bisogna quindi che il record comprenda quei dati necessari ad identificare un sito sacro, ciò che di esso è rimasto e la chiesa che vi è stata costruita. Lo schema dovrà essere semplice ed essenziale, ma riportare tutti i dati necessari. Lo schema attuale prevede anche uno spazio per le fotografie, che non sono presenti nella prima edizione, ma che potrebbe essere comunque interessante inserire e che richiedono un impegno di collaborazione abbastanza modesto. I dati da inserire nel database sono un altro punto importante di discussione; la trattazione dei punti da considerare per l’elaborazione di uno standard proseguirà più avanti considerando i diversi campi dello schema attuale ed eventuali aggiunte o correzioni che potrebbero essere fatte.
Come già detto ogni campo deve avere un tag che lo contraddistingua per poter scambiare i record in formato ISO; il tag dev’essere un numero di tre cifre ma per il resto è il risultato di una convenzione. Nell’edizione corrente del database si sono divisi i dati in blocchi o settori (sull’esempio di UNIMARC, un altro formato di scambio dati bibliografici), ciascuno contraddistinto da una particolare cifra posta al primo posto e relativo ad un tipo di dati più o meno omogenei: tutti i numeri che cominciano con 2 riguardano la localizzazione del sito (200 è la località precisa, 201 la provincia, 202 la regione, 203 la nazione). In questo modo i tag sono semplici da ricordare e si tiene aperta la possibilità di ampliare lo schema a volontà, aggiungendo nuovi tag in maniera ordinata, nel blocco appropriato. Il blocco 1-- è quello dei dati relativi alla/e divinità a cui il sito/tempio era dedicato (se conosciute); il blocco 2-- riporta i dati relativi alla localizzazione del sito; il blocco 3-- i dati relativi al riutilizzo (parti riutilizzate, tipo di riutilizzo, secolo); il blocco 4-- attualmente riporta i dati relativi alla datazione del tempio originario (si veda anche il paragrafo relativo); il blocco 5-- i dati relativi alla chiesa che riutilizza il sito; il blocco 6-- riporta note di diverso genere; il blocco 7-- è quello per le fotografie. I blocchi così divisi sono un importante oggetto di discussione; il mantenimento della struttura a blocchi permette una più ordinata presentazione dei dati, anche se si dovessero stabilire espansioni alla descrizione o diversi livelli di descrizione che si adattino ad esigenze diverse.
Finché il censimento rimane in ambito italiano, la lingua da utilizzare non è un aspetto rilevante, ma già con la traduzione che era stata fatta per il congresso WCER del 2005 sono sorti alcuni dubbi su cosa e come tradurre. Se si desidera comunque che il database sia consultabile anche all’estero, occorre scegliere una lingua comune almeno per i campi in cui è possibile farlo; se poi il database verrà arricchito da collaborazioni di altri paesi europei, il problema della lingua si farà più pressante. Se ad esempio il database italiano verrà unito ad un database francese, è chiaro che non è possibile, per una ricerca ottimale, che una stessa parte di un tempio in Italia e uno in Francia non potrà essere nominata una volta in italiano e una in francese, per non disorientare l’utente che fa la sua ricerca, impedendogli di trovare tutti i risultati possibile. Nel database sono però presenti anche nomi propri: quelli delle divinità, delle località, dei titolari delle chiese. Vanno tradotti oppure no? In generale i nomi non dovrebbero mai essere tradotti, ma per quanto detto prima non aiuterebbe la ricerca se parte dei templi dedicati ad Artemide si potessero trovare sotto questa forma del nome della dea e un’altra parte solo cercando "Artemis". Il problema della lingua sarà quindi preso in considerazione analizzando i singoli campi; ci sarà una lingua comune per l’intero database, ma i campi potranno fare delle eccezioni; ad esempio, se si sceglierà come lingua comune del database l’inglese, in questa lingua saranno espressi i dati del blocco 3.. quello del riutilizzo, ma potranno fare eccezione i campi che riportano dei nomi, i quali potrebbero seguire regole proprie per la scelta delle forme accettate dei nomi. In tutti gli standard dalle forme non accettate del nome si fanno dei rinvii: in questo caso si potrebbero prevedere delle tabelle di concordanza da una lingua alla lingua scelta. Una collaborazione con gruppi di altri paesi prevedrebbe che ciascun gruppo si occupi delle tabelle di concordanza per il proprio paese. Esempi ulteriori più avanti, nei paragrafi relativi ai singoli campi.
Ma anche una volta scelta la lingua, rimane il problema della scelta dei vocaboli: come detto sopra, una stessa cosa, per essere pienamente ricercabile, deve essere sempre nominata allo stesso modo. I vocaboli scelti vanno a costituire un cosiddetto vocabolario controllato, una serie di termini scelti convenzionalmente che sono, potremmo dire, le espressioni "ufficiali" da utilizzare.
Come già detto, un vero standard ufficiale non dovrebbe occuparsi della propria applicazione pratica, perché dovrebbero essere i programmi ad essere scelti in base a quanto soddisfino lo standard e non lo standard ad adattarsi ai software in circolazione. Il nostro però è uno standard operativo, che considera anche il problema dello scambio dei dati e che nasce dall’accordo di coloro che partecipano alla sua formazione. Nella premessa si è già detto che l’attuale edizione del censimento è elaborata con un programma che permette lo scambio dei dati con il formato che fa riferimento alla norma ISO 2709. Questo formato si presenta vantaggioso perché è un formato di testo, perciò leggibile da diversi modelli di macchina e il cui peso è determinato unicamente dal numero di caratteri presenti. Il programma, che naturalmente potrà essere in futuro cambiato, ma che attualmente pare conveniente, è ISIS, un programma per l’elaborazione di database distribuito gratuitamente dall’UNESCO, dal cui sito si può scaricare in diverse lingue. E’ un programma abbastanza agile, utilizzato nell’ambito dei beni culturali e accompagnato da altri due programmi, anch’essi scaricabili gratuitamente dal sito dell’UNESCO, che permettono la trasformazione di un file di ISIS in un database consultabile su CD ROM o sul web. Ciascun partecipante al progetto del censimento può riprodurre sul proprio computer il database creando un file ISIS che segua lo standard e scambiare il file ISIS da lui elaborato con altri: ISIS permette infatti l’integrazione di due database creati su uno stesso schema. Tutti i database elaborati dai diversi partecipanti possono confluire agevolmente in un eventuale database centrale che potrà trasformare tutti i files in un unico CD o database web.
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